Quello che è accaduto ieri alla Camera dei Deputati è qualcosa di estremamente serio e grave. Lo è anzitutto perchè il governo è andato sotto, riguardo all’approvazione del Rendiconto dello Stato, un documento contabile che rappresenta il punto di partenza per l’approvazione della legge di stabilità e le variazioni al Bilancio. Insomma, una materia che è il cuore di un programma di governo, per quanto in sè formale e dovuto. Ma è ancora più grave che tale bocciatura sia avvenuta ieri, ossia in una fase in cui i mercati stanno tentando di ridare un minimo di fiducia all’Eurozona, Italia compresa.
E invece l’Italia che fa? Si boccia da sola il documento contabile grazie al quale potrebbe essere attuato il tanto agognato risanamento. E la cosa ancora più incredibile, al limite del kafkiano, è che l’assenza determinante è stata quella del ministro dell’economia Giulio Tremonti. Ora, determinante o meno, un ministro che non si presenta a votare la propria stessa creatura, non meriterebbe il posto che occupa. E il guaio è proprio questo. Il premier Berlusconi ha sempre straparlato in privato e qualche volta in pubblico su Tremonti, ma non lo ha mai realmente cacciato via.
Nei corridoi di Palazzo Grazioli, dove ieri è stato riunito il PDL per fare il punto della situazione, Berlusconi ha comunicato ai vertici di questo sgangherato partito la linea da seguire per le prossime settimane. Si presenterà alle Camere per chiedere l’ennesimo voto di fiducia su un programma minimo, un nocciolo duro di provvedimenti, tra cui la riforma della Costituzione, forse della stessa legge elettorale e sull’economia. E promette che le misure di rilancio della crescita le scriverà lui di suo pugno, non Giulio. Obiettivo: evitare il governo delle larghe intese. Arrivare a gennaio, quando si deciderà se varrà ancora la pena di andare avanti nella legislatura o se tornare alle urne anticipate alla primavera prossima.
Ma se dai banchi delle opposizioni ieri si gridava “Dimissioni, dimissioni”, in realtà, pochi vogliono realmente in questo momento che il governo faccia un passo indietro. Nel frattempo, il premier tenterà per l’ultima volta di serrare i ranghi, cercando di riportare alla ragione le frange impazzite di Scajola e altri come Formigoni, che ormai lavorano apertamente contro di lui.