Ieri, il governatore della Federal Reserve, Ben Bernanke, ha fatto una disamina della situazione economica e finanziaria degli USA e come al solito riesce a dire al contempo alcune cose abbastanza condivisibili e altre per niente. Ha scaricato sull’Europa le responsabilità per le turbolenze sui mercati finanziari, affermando che il Vecchio Continente dovrebbe risolvere al più presto i suoi problemi di debito, che potrebbero innescare conseguenze negative sulle banche americane.
Un discorso per nulla condivisibile questo, dato che la crisi debitoria è stata innescata proprio dagli USA, con il loro pesantissimo indebitamento pubblico e privato, che ha sfiduciato i mercati, i quali hanno poi iniziato a giudicare con severità le situazioni di bilancio altrui. Non si salvano dalla morsa della crisi nemmeno colossi come Bank of America, Morgan Stanley e Goldman Sachs, tanto per citarne qualcuna.
Ma è quando Bernanke ha analizzato il rapporto tra economie avanzate ed emergenti che il suo rapporto ha avuto punti di forte ragione, per quanto provenienti dal Paese sbagliato. Il capo della Fed ha, infatti, dichiarato che se le economie emergenti, come la Cina, avessero un cambio valutario flessibile e non sottovalutato, la crescita si sposterebbe in parte da loro alle nostre economie, bilanciando la situazione a livello planetario.
Al contrario, ha proseguito Bernanke, la Cina continua a bloccare questo processo di bilanciamento e, anzi, lo danneggia. Trattasi, cioè, di uno di quegli squilibri, di cui parla da mesi il governatore Mario Draghi, in qualità di presidente del Financial Stability Forum. Ma un altro grande squilibrio è dato proprio dagli USA, che drogano la crescita interna con una politica di tassi zero, dalle ripercussioni nefaste sulla finanza dell’intero pianeta. Come stiamo vedendo negli ultimissimi anni.