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Referendum sulla legge elettorale: il parere di uno contrario, nonostante l’obbrobrio esistente

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Giancarlo Sali

Oggi è giornata di grandi festeggiamenti per i promotori del referendum che mira ad abolire l’attuale legge elettorale. D’altronde come dare torto alle oltre 1 milione e 200 mila persone che hanno firmato contro la legge aggettivata correttamente “Porcellum“, dal momento che chi l’aveva proposta e votata era stato il primo a definirla “una porcata” (Roberto Calderoli).

Di Pietro si proclama entusiasta per il risultato ottenuto (sarebbero in teoria bastate 500 mila firme); il politico molisano mette anche i paletti sui principi che dovranno ispirare la nuova legge elettorale, una volta ottenuta l’abrogazione di quella attuale: chi è stato condannato dalla giustizia non potrà candidarsi, decadrà se risulterà già eletto, e niente doppio lavoro, in nessun caso, per chi fa il parlamentare.

Chi vi scrive è un tenace sostenitore dei mezzi democratici che permettono al popolo di avvicinarsi il più possibile ad una forma di democrazia diretta, soprattutto in situazioni in cui diviene difficile identificarsi in qualsivoglia formazione politica. Stavolta però, pur riconoscendo l’obbrobrio di una legge, che oltre ai tanti difetti insiti nel calcolo dei seggi da assegnare, contiene in sè il principio più anti-democratico del mondo (i candidati sono eletti all’interno di liste bloccate designate direttamente dai partiti politici, quindi non è possibile votare direttamente le persone, la cui elezione sarà direttamente collegata alla posizione nella lista stessa), resto perplesso sull’utilizzo dello strumento del referendum.

Perchè? Semplice, perchè noi paghiamo oltre 1000 persone tra deputati e senatori fior di quattrini, e poi per fare una delle più semplici operazioni politiche c’è bisogno di un Referendum? E’ come se, in una società d’informatica, i dipendenti chiedessero aiuto alle persone per strada per effettuare l’operazione più semplice possibile: accendere il computer.

Questi individui, che sono tutti d’accordo quando si tratta di alzare i loro stipendi (mentre i tagli spariscono il giorno prima di approvare le Finanziarie), non sono in grado da soli di fare una legge elettorale decente, costringendo gli italiani a spendere altri soldi per organizzare elezioni, seggi elettorali, retribuzione scrutatori, presidenti, manifesti e pubblicità informative ecc. ecc. su un qualcosa che non ha niente a che vedere con economia, diritti, tasse, ma che dovrebbe riguardare esclusivamente i politici di professione.  Senza contare i 260 mila euro che andrano ai promotori del referendum, se esso raggiungerà il quorum.

C’è da registrare poi, che anche quando i referendum sono estremamente doverosi, come quelli del Giugno scorso, spesso i governanti hanno imparato anche a smentirli nei fatti, con operazioni normative, a distanza di tempo, che vanno nella direzione opposta.

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Giancarlo Sali