Il Tesoro è alle prese con il capitolo delle privatizzazioni, stretto tra le critiche di chi, all’interno della maggioranza, chiede che si vendano i gioielli di famiglia, per ridurre il debito, senza mettere per l’ennesima volta le mani in tasca agli italiani, e dalle richieste pressanti di organismi come UE e BCE, che spingono per un’accelerazione nell’abbattimento dell’enorme debito italiano.
Ieri, Tremonti sembrava fare sul serio, quando ha radunato uomini d’affari al suo ministero, per un seminario sulle dismissioni pubbliche. Ma subito è sembrato evidente che il ministro non ha intenzione di fare cose serie, sia per l’entità delle cifre divulgate, che per i tempi. Si parla di dismissioni a bilancio dal 2015 e meglio dal 2020. Una sciocchezza alla Tremonti.
I numeri direbbero per via XX Settembre che il patrimonio immobiliare dello stato sia non superiore a 500 miliardi. Di questo, solo il 5-10% sarebbe effettivamente cedibile. Quindi, non più una trentina di miliardi, 40-45 al massimo, secondo i calcoli del ministero. Silenzio sui circa 45 miliardi di euro in quote statali in società come Eni, Enel, Poste Italiane, Ferrovie, Rai. Tremonti non ha intenzione di venderle.
Silenzio ancora, anche se la questione è di pertinenza anche della Banca d’Italia, sui lingotti d’oro per 2400 tonnellate, in possesso di Palazzo Koch e che se venduti potrebbero rendere al momento anche 100 miliardi di euro.
Per il ministro dell’economia, insomma, trattasi di poca roba. A conti fatti, invece, le dismissioni del nostro patrimonio immobiliare porterebbero alle casse dello stato non meno di 190 miliardi (45 miliardi dal patrimonio immobiliare + 45 miliardi da quote in società pubbliche + 100 miliardi dalla vendita dell’oro), il 10% del debito pubblico attuale e circa il 12% del pil. Scusate se è poco!