Erano stati annunciati in pompa magna, ma evidentemente era solo fumo negli occhi per far mandare giù ai poveri cittadini una manovra pesantissima: la Casta non fa un passo indietro, anzi conferma la sua idiosincrasia ai tagli che la riguardano, rimandando a novembre la commissione che dovrebbe inserire in costituzione il pareggio di bilancio e abolire le province. Tanto tuonò che non piovve, storpiando il vecchio proverbio: se dalle parole non si passa ai fatti c’è di che rimanere delusi e così ancora una volta la classe politica italiana perde l’occasione per fare bella figura.
Troppo attaccati ai loro privilegi gli onorevoli che siedono sugli scranni del parlamento, per pensare di accelerare riforme che vadano ad intaccare la loro posizione: così quando ieri in Senato si è discusso della proposta del Partito Democratico di istituire una Commissione speciale per “elaborare testi di riforma costituzionale, in particolare per la riduzione del numero dei parlamentari, la riformulazione dell’articolo 81 ai fini del perseguimento del pareggio di bilancio, la definizione del nuovo assetto delle autonomie conseguente alla soppressione delle Province“, le risposte sono state al limite del surreale.
Tutti pronti a parole a procedere alla riduzione dei costi della politica, ma nella pratica tutti hanno optato per il rinvio della discussione sull’istituzione della Commissione. E già, perché, come affermato dal ministro Calderoli, in Parlamento già sono approdati disegni di legge che vertono proprio sulle materia in questione e quindi “tra due mesi si potrebbe valutare a che punto sono i lavori ed entro tale termine, se ci sarà l’impegno di tutti, i provvedimenti potrebbero anche giungere all’esame in Aula”.
Idea che potrebbe anche essere accettata con benevolenza, se non fosse per il fatto che, quando il senatore dell’Italia dei Valori, Felice Belisario, propone l’iter di urgenza per il disegno di legge costituzionale di riduzione del numero dei parlamentari, il coro di no che si leva da Palazzo Madama è unanime: nessuna necessità di fare in fretta e, infatti, la dichiarazione di urgenza è respinta dal Senato. Niente accelerazione, quindi, per la riduzione del numero dei parlamentari e il sospetto che sorge è che la casta voglia rimandare il più possibile il momento in cui dovrà sottoporsi ai tagli annunciati nella manovra finanziaria.