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Tremonti il vampiro fa “mea culpa” su decreto rapido della manovra

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Giuseppe Timpone

Il ministro Giulio Tremonti, che ha presenziato al vertice degli imprenditori a Cernobbio, ha ammesso che è stato un errore avere varato in fretta e furia un decreto per la manovra finanziaria da 45,5 miliardi, che poi ha necessitato di correzioni e di una discussione surreale sui cambiamenti da apportare, che ha un pò lasciato perplessi i mercati finanziari. Il “mea culpa” di Tremonti arriva quasi inatteso, considerando la spigolosità del personaggio. Tuttavia è poco credibile e forse per nulla sincero, se si pensa che lo stesso ministro è stato un freno a qualsiasi ipotesi di modifica della “sua” manovra, anche se a saldi invariati. E così, dopo avere pontificato sulla necessità dell’urgenza di provvedimenti anche molto impopolari e avere esposto l’esecutivo alle critiche di tutte le categorie sociali, adesso il ministro fa dietro-front e ammette timidamente di essersi sbagliato.

Verrebbe da dire che questo è il risultato di affidarsi a un ragioniere e non a un politico. Perchè è vero che i bilanci si fanno con i numeri e – per dirla alla Totò -è la somma che fa il totale, ma è pur sempre altrettanto vero che le cifre non possono non avere contenuto politico, perchè devono essere frutto di scelte e priorità dell’agenda di governo, cosa che Tremonti non riesce neanche minimamente a comprendere e che interpreta nella sua strategia dei tagli lineari, monumento alla non decisione.

Soltanto un intervento da dietro le quinte del premier Berlusconi ha evitato in extremis misure da sinistra maoista al governo, come la pubblicazione dei redditi online dei cittadini o l’obbligo di indicare in dichiarazione dei redditi anche le banche con cui si intrattengono rapporti (conti corrente, depositi, etc.). Per il resto, contributo di solidarietà compreso, non si può che mettere una pezza a una vergogna della cultura del “tassa e ritassa”, contro cui il centro-destra si era sempre opposto.

Se c’è una colpa che può, questa sì, essere addebitata al presidente del consiglio è di non essersi dato il coraggio a tempo debito di licenziare il suo ministro dell’economia. Certo, si dirà che i mercati non lo avrebbero permesso, ma gli stessi mercati hanno bocciato un mese fa la gestione Tremonti con l’ampliamento dello spread tra i BTp e i Bund tedeschi a 400 punti base. Peggio non poteva andarci e con l’aggravante che dopo tale disastro si continua ad avere lo stesso ministro. Come dire: minimo risultato col massimo sforzo. Almeno, avremmo cambiato ministro e chissà…

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Giuseppe Timpone