Ufficialmente le posizioni si mantengono quelle di sempre. Il PDL è diviso tra chi (i frondisti) chiedono modifiche radicali alla manovra, in modo da non gravare per l’ennesima volta sul ceto medio e quanti, invece, ritengono assai improbabile e poco auspicabile intervenire per correggere la manovra già varata dal governo, a causa sia di un fatto di credibilità politica sul piano internazionale, sia per gli ostacoli interni alla maggioranza. E infatti i reali contrasti non sono certo all’interno del PDL, quanto tra questo e la Lega Nord. Il Carroccio fa la voce grossa sulle pensioni. Non si toccano, punto e basta. Niente ritocchi alle pensioni di anzianità, dunque, e men che mai sull’età pensionabile per le donne del settore privato. Ma dietro all’ufficialità, qualcosa si muove, anche se è difficile immaginare grandi manovre. A tale proposito il Senatùr si è volutamente legato le mani andando in giro per il Nord a spiegare che grazie al Carroccio le pensioni non saranno toccate. Certo, ciò non pregiudica una possibile modifica, ma il leitmotiv non può essere stravolto, come avverte anche il ministro Calderoli, il quale ancora ieri affermava che non ci sarebbe stato alcun cedimento da parte dei leghisti.
Ma c’è un punto di incontro tra le esigenze di PDL e Lega di non scontentare più del troppo i propri elettori. Da un lato, si chiede qualche sacrificio sulle pensioni di anzianità, dall’altro si concederebbe con i risparmi ottenuti un calo dei tagli ai comuni. Un tema su cui il Carroccio è sensibile per natura, su cui arrivano in questi giorni notevoli contestazioni da parte degli stessi amministratori in camicia verde.
Il premier starebbe facendo pressioni su Bossi, anche tramite Alfano, per arrivare a toccare qualcosa sulle quote previste per le pensioni di anzianità. L’ambizione massima sarebbe di arrivare a quota 100 (somma tra l’età anagrafica e gli anni di contributi versati) entro il 2015, dall’attuale quota 97. E’ molto probabile che si arrivi a metà strada, magari prevedendo un limite di 62-63 anni di età per andare in pensione e un minimo di 36-37 anni di contributi versati. Tante le ipotesi, più improbabile che si riesca a fare qualcosa nell’immediato sulle donne, sebbene si dia per possibile un anticipo del 2028 quale data di entrata a regime della riforma, che prevede i 65 anni di età per la pensione anche per le dipendenti private.
Il premier vorrebbe anche che il contributo di solidarietà venga del tutto eliminato, per evitare che si arrivi al paradosso di un aumento soft delle tasse per i redditi medio-alti, ma con la sensazione dell’opinione pubblica che il governo sia intervenuto pesantemente. Magari, la copertura potrebbe in parte arrivare dal dimezzamento del numero dei parlamentari. Silvio lo vuole.