L’ultima manovra finanziaria da 45,5 miliardi spalmati tra il 2012 e il 2013 ha avuto un grande merito: è stata l’ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso. E la goccia si chiama tasse. Già a luglio, la prima manovra approvata in fretta e furia su pressione dei mercati aveva esitato un aumento a raffica di tasse: sul bollo auto per cilindrate superiori ai 225 cv, sui depositi di titoli, sulle accise, etc. A questo, ora si aggiungerebbe il contributo di solidarietà, che nel linguaggio ipocrita di Tremonti non è altro che un aumento bello e buono dell’Irpef per i redditi superiori a 90 mila euro, con un ulteriore aggravio per quelli oltre i 150 mila euro. Ma il PDL, in questi anni di governo, come partito pensante non c’è stato. Ha sempre seguito gli ordini di scuderia, senza nemmeno fiatare, lasciando solo il premier Berlusconi, che pur in questi dieci anni a fianco di Tremonti non ha mai condiviso granchè della visione del suo ministro dell’economia, ma è stato costretto ad accettare i suoi diktat, a causa della mancanza di personalità alternative credibili. E la breve esperienza di Siniscalco fu tragica. Ma quando è troppo, è troppo.
Con l’ultima manovra, l’aliquota massima sul reddito schizzerebbe al 53%, un livello inesistente altrove. E mentre nel resto dell’Occidente, seppur a fatica, si cerca di ridurre il carico fiscale, da noi lo si aumenta, malgrado esso già sia alla percentuale record del 44%. Inaccettabile per quanti nel PDL cercano di interpretare le istanze liberali sull’economia.
E’ il caso di Antonio Martino, già ministro della difesa del governo Berlusconi tra il 2001 e il 2006, che da tempo accusa Tremonti di socialismo e già a luglio aveva minacciato di non votare l’ennesima manovra di tasse. Adesso, Martino ha raccolto intorno a sè una ventina di parlamentari, cosiddetti “frondisti”, che stanno infiammando il dibattito interno al Popolo della Libertà, chiedendo che vengano ascoltate le proprie istanze, che vanno nella direzione di ridurre il deficit, abbassando la spesa pubblica, ma non aumentando le tasse. Anzi, fosse per loro bignorebbe diminuirle.
Il loro raggio di azione non è ampio, ma la partita non la si gioca di certo sulla manovra in sè. E’ l’identità del partito e del centrodestra in discussione, se esso, cioè, abbia ancora una spinta riformatrice e liberale, al pari della destra in altri stati, o se si sia adagiata sul cupo tremontismo, che ha rappresentato il vero ostacolo a qualsiasi riforma in Italia.