Francesco Azzarà, volontario di Emergency, è stato rapito lunedi a Nyala in Darfur dove era impegnato nel centro pediatrico che l’organizzazione non governativa italiana ha aperto nel maggio 2010. Ancora nessuna rivendicazione è stata fatta da parte dei rapitori, che lo hanno prelevato mentre si dirigeva in auto verso l’aeroporto della città. La zona, da anni flagellata da un conflitto che non trova soluzione, è spesso teatro di rapimenti, episodi di violenza e atti di delinquenza comune. Francesco Azzarà, 34 anni, originario di Motta San Giovanni, in provincia di Reggio Calabria, è laureto in Economia aziendale e si è specializzato in Commercio Estero, è in Darfur da circa un mese e mezzo. Ancora non si è risaliti ai motivi del rapimento come affermato in un comunicato diffuso da Emergency in cui si chiede l’immediata liberazione del volontario, che è logista del centro pediatrico e si occupa anche di amministrazione.
“Emergency – si legge nel comunicato diffuso dalla Ong – ha immediatamente attivato in Darfur e a Khartoum tutti i contatti a sua disposizione ed ha altresì informato il Ministero degli Affari Esteri italiano.
Un team di Emergency sta seguendo gli sviluppi della situazione ed è in costante contatto con la famiglia, le autorità sudanesi e quelle italiane. Emergency chiede la liberazione immediata di Francesco Azzarà ed auspica piena collaborazione di tutti coloro che possano aiutare ad arrivare a un esito positivo di questa vicenda”. Non riesce a trovare una spiegazione plausibile il fondatore dell’organizzazione italiana, Gino Strada, che in una dichiarazione riportata da “Repubblica” mostra la sua sorpresa e afferma che non “c’è nessun motivo razionale” che possa spiegare il rapimento anche perché “il team di Emergency a Nyala è stato sempre visto con tanto affetto”, visto che “gestisce l’unico centro pediatrico che fornisce cure gratuite”.
Chiede riserbo sulle indagini in corso il ministro degli esteri Frattini che parla di alcune piste battute (una fonte contattata dal “Corriere della Sera” ha dichiarato che il volontario italiano è in mano alla tribù dei Rezegat) e afferma che per “capire le dinamiche, individuare i responsabili e ottenere la liberazione del nostro connazionale” è necessario “lavorare nella cautela, nel silenzio e nella discrezione”. “L’intelligence è al lavoro – ha dichiarato il ministro ai microfoni di Baobab, trasmissione radiofonica in onda su Radio 1, ma l’unica cosa essenziale è evitare ipotesi avventate che possono rischiare di fare il gioco del sequestratori”.