Ieri giornata nera, nerissima per Barack Obama, che dopo avere ricevuto la notizia del declassamento del debito americano, per la prima volta nella storia, ha persino appreso della morte di oltre una trentina di soldati USA a causa di un abbattimento di un aereo in Afghanistan per opera di milizie alqaidiste. Brucia in modo scottante la bocciatura dei conti americani effettuata da Standard & Poor’s, tanto che Obama non ha nascosto la sua ira e ha attaccato a testa bassa i responsabili dell’agenzia, accusandoli senza troppi giri di parole di incompetenza, avendo sbagliato, a suo dire, a fare i conti. Ma il momento peggiore deve ancora arrivare, perchè fa paura la riapertura di Wall Street domani, dopo la pausa del weekend. Per questo, la Casa Bianca ha cercato di mandare messaggi molto rassicuranti agli investitori, ma si è anche rivolto al Congresso affinchè tacciano le partigianerie e si lavori insieme per il bene comune. Un appello che sembra quasi quello che viene generalmente lanciato a Washington in tempi di guerra e, infatti, il clima non è da meno.
Quello che dobbiamo chiederci adesso è questo: il fatto che un’agenzia di rating abbia detto che i titoli USA non godono più del loro massimo giudizio, cambia qualcosa, considerando che le cifre macroeconomiche sull’America sono sempre state a disposizione degli investitori?
In altre parole, perchè domani ci si dovrebbe fare prendere dal panico, quando in termini reali non è cambiato nulla? Se gli USA sono ultra-indebitati, lo sono non da ieri; se le condizioni del loro credito non sono più massimamente affidabili, questo lo si sapeva da qualche anno a questa parte. Ma allora, perchè temere il downgrade di S&P, quando questo non è altro che l’ufficializzazione di quanto già detto dagli stessi operatori in borsa da tempo e non viceversa? La risposta è che i mercati funzionano su meccanismi spesso di tipo puramente psicologici. Domani non ci sarebbe motivo per non acquistare titoli USA, tuttavia, il fatto che si pensi che possano farlo altri, per via del giudizio dell’agenzia, spinge tutti a vendere e questo comporterà un’impennata dei tassi americani.
Ma lo scenario di medio termine più attendibile è la perdita di centralità dell’America di Obama, con gli investitori che gradualmente non avranno più gli USA come mercato di riferimento. Non è un caso che ieri i cinesi, i maggiori creditori del Tesoro americano, abbiano detto che la situazione degli USA è peggiore di quella dell’Eurozona.