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Perchè diffidare delle parti sociali, il governo non abbocchi

Published by
Giuseppe Timpone

In queste giornate drammatiche di crisi dei mercati finanziari e di attacchi speculativi ai nostri titoli di stato, il governo ha convocato sindacati e Confindustria, oltre ad altre sigle in rappresentanza del mondo del commercio, delle pmi e dell’artigianato, al fine di trovare un’intesa sul da farsi entro poche settimane per rilanciare la crescita, nel rispetto dei vincoli di risanamento del bilancio pubblico. Il clima molto cordiale tra le parti ha ricordato a molti quello del 1993, quando fu varato l’accordo tra imprese e sindacati, che ancora oggi disciplina la materia delle contrattazioni e dei salari. Tra la grande stampa, molti auspicano che vi sia un remake del ’93 e le similitudini con allora, in effetti, non mancano. Anche quell’anno l’Italia era investita da una crisi, che da finanziaria si era trasformata in recessione reale (la prima dal dopoguerra), anche allora i mercati finanziari e la lira erano sotto attacco, anche allora le istituzioni erano in grandissima difficoltà, tra crollo dei partiti della prima repubblica e stragi mafiose.

Il sogno di un nuovo ’93 ha trovato qualche conferma nella distensione tra le parti, persino nella ostentata volontà del premier di trovare un accordo con l’ok di tutti. Quello che stiamo dimenticando in questi giorni è che fu proprio l’accordo del ’93 a creare le condizioni per un’economia immobile e stagnante dei venti anni successivi.

Allora fu deciso un modello contrattuale verticistico e centralistico, che mirando a lottare contro l’inflazione, ha livellato i salari di tutti i lavoratori, ha accentrato la battaglia contrattuale a livello nazionale e ha scaricato sulla piccola impresa le rigidità tipiche della grande industria italiana. Quell‘accordo ha paralizzato il mercato del lavoro, deprivandolo di qualsivoglia forma di vivacità e dinamicità salariale, deprimendo profitti e salari e imbrigliando le imprese in una logica contrattuale, slegata dalla propria realtà effettiva.

Berlusconi in cuor suo sa che le parti con cui discute non caveranno mai un ragno dal buco, ma la situazione lo costringe a porsi a capo di questa nuova voglia di intesa. Non dimentichiamo, però, che Confindustria e sindacati sono i responsabili materiali, oltre che morali, della crisi che viviamo da venti anni. I sindacati sono artefici del dissesto delle casse previdenziali, con la difesa delle baby pensioni e con un modello assistenziale che ha saputo guardare solo agli anziani, trascurando giovani e famiglie. Per non parlare dello stato di rigidità e paralisi in cui hanno gettato il mercato del lavoro.

Confindustria, che con il suo presidente invoca politiche liberiste, dimentica di essere stata l’avanguardia delle politiche di assistenza alla grande impresa e di restringimento di ogni forma di concorrenza sui mercati. Insomma, si tratta di far trovare la cura a coloro che ci hanno fatto ammalare. Lecito diffidare.

 

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Giuseppe Timpone