Dieci giorni fa, incontrando il vice-premier di Ankara, già ex ministro dell’economia, il presidente della Banca Mondiale, Robert Zoellick, ha definito la Turchia un esempio per tutte le economie emergenti, dato che in soli dieci anni è stata in grado di triplicare il suo reddito pro-capite. E, infatti, l’economia turca corre, negli ultimi anni, e solo nel 2010 il suo pil è cresciuto dell’8,9%. Per quest’anno, invece, si prevede un +4,5%, un rallentamento un pò dovuto alla crisi delle economie di sbocco dei prodotti turchi, come l’Eurozona, ma anche gli altri emergenti.
La fierezza di Ankara per la crescita impetuosa di quella che si sta confermando quale una piccola Cina del Mediterraneo deve fare, tuttavia, i conti con alcuni problemi non indifferenti. Lo stesso Zoellick ha invitato a tenere d’occhio l’inflazione, che in molte economie in via di sviluppo, come la Cina, potrebbe avere già compromesso in parte la crescita a medio termine.
E la Turchia ha un tasso d’inflazione attualmente intorno al 6%, anche a causa della politica monetaria accomodante della sua banca centrale, che incentiva i consumi e l’indebitamento privato. Tutto ciò si sta ripercuotendo negativamente sulla bilancia commerciale, a causa della crescita impetuosa delle importazioni, sostenute da una forte domanda interna. Il saldo commerciale quest’anno dovrebbe attestarsi su un passivo dell’8% del pil, i prossimi anni non dovrebbe andare meglio; per questo, la lira turca si è già deprezzata dell’11% dall’inizio dell’anno.
A ogni modo, si prevede che la Turchia entri nelle 10 big del mondo entro il 2023, obiettivo che la Banca Mondiale giudica alla portata. Si spera, però, che passate le elezioni, la politica monetaria diventi restrittiva, anche al punto di sacrificare in parte la crescita, ma mettendo l’economia su un sentiero ordinato. Se ne gioverebbe anche la bilancia commerciale e dei pagamenti.