In questi ultimi tre anni, dall’esplosione della recessione del 2008-’09, partita dagli USA, i nostri titoli di stato sono passati dal Paradiso all’inferno, come forse nessuno si attendeva realisticamente. Da quando siamo entrati nell’euro, l‘Italia aveva visto sempre più convergere i rendimenti dei suoi titoli a quelli tedeschi, portando il differenziale sui 10 anni a soli 20 punti base, con picchi di qualche decina di punti in più, semmai. Un vero miracolo, dato che fino a pochi anni prima, lo spread ammontava a non meno di 600 punti base.
Poi, il diluvio. A metà giugno, mese di turbolenze sui mercati, il differenziale si attestava sui 170 punti base, mentre la media di questi ultimi tre anni era intorno ai 150 punti. Ma già ad aprile, molti analisti scommettevano su un restringimento a 120-125 bp. E, invece, l’esplodere della crisi greca e le trattative infinite negli USA, per evitare il default, hanno portato lo spread fino a un massimo di 353 bp, per poi rientrare a 338 bp.
Ma se esaminiamo i dati, ci accorgiamo di una presunta anomalia nei movimenti dei titoli. Al crescere del numero degli anni di scadenza, il differenziale con i rendimenti tedeschi tende a diminuire. Raggiunge il suo massimo sui triennali, a quasi 350 bp, per passare a 342 nel segmento a 5 anni e a 321 per i decennali. Segno, che gli investitori giudicano più rischioso il breve-medio termine, anzichè il lungo, come si è già visto anche per la Grecia.
Ma la vera anomalia è che i titoli a due e tre anni tendono a rendere, nelle ultime sedute, più di quelli spagnoli: 4,28% contro il 4,27% per i BTp a 2 anni; 4,83% contro il 4,76% per i BTp a 3 anni. Ma è la Spagna il Paese considerato a maggiore rischio contagio, il che non spiega questo paradosso.