L’ipotesi che tra una settimana gli USA siano in default si fà seria. Fino ad oggi, si è sempre pensato che si tratti solo di tatticismi delle parti. In fondo, così è. Ma ora, mancando pochissimi giorni al fatidico 2 agosto, nessuno è realmente in grado di prevedere cosa davvero accadrà. Ieri, il presidente americano Barack Obama, nel suo goffo tentativo di cercare il consenso tra i Repubblicani, ha fatto un discorso tv, in cui ha citato presidenti come Reagan e Bush, per chiedere che il Congresso autorizzi l’innalzamento del tetto sul debito, al pari di quanto accaduto molte volte sotto i suoi predecessori.
Per tutta risposta, John Boehner, che è lo speaker della Camera e esponente dei Repubblicani, ha messo subito le cose in chiaro: “Obama vuole che il Congresso firmi un assegno in bianco, ma noi non lo faremo“.
Cosa accade ora? Il default non ci sarà. Obama alla fine dovrà abbassare la testa all’ultima proposta dei Repubblicani, del tutto ragionevole. Essa prevede un innalzamento graduale del tetto sul debito, in mancanza di un accordo complessivo sui tagli al deficit federale. Il Congresso autorizzerà subito un aumento di 1000 miliardi di dollari, collaterali a un ammontare di pari livello dei tagli alle spese.
Di volta in volta, man mano che saranno tagliate le spese e fino alla fine del 2011, potranno essere autorizzati altri innalzamenti al tetto. I Repubblicani chiedono, in particolare, che si proceda al taglio di Medicare, il programma di assistenza sanitaria pubblica, nonchè dei sussidi all’agricoltura. Obama, che di povertà e Terzo mondo fà un gran parlare, alla prova dei fatti, al contrario, è un grande difensore degli aiuti all’agricoltura americana, che sono alla base delle distorsioni evidenti nel commercio mondiale.
Il tempo per trattare è di fatto scaduto. L’unica opzione che la Casa Bianca ha è quella di accettare, assumendosi il rischio di una campagna elettorale nel 2012, con la minaccia continua del Congresso di non autorizzare aumenti di indebitamento. Per Obama sarà molto dura.