Nel suo Report 2011 sulla Cina, il Fondo Monetario Internazionale non nasconde i successi dell’economia cinese, specie nella capacità di recepire alcuni suggerimenti che sono provenuti nel recente passato proprio dall’istituto di Washington. In particolare, il rapporto si sofferma sull’accresciuta consapevolezza delle istituzioni di Pechino che la stabilità del Paese sia importante per le ricadute positive a livello internazionale.
E, tuttavia, restano per l’Fmi alcuni fattori di disequilibrio per la Cina, come quella valutaria e della finanza. Un modello appropriato per la governance della finanza, infatti, dice il report, sarebbe un’opportunità di maggiore efficienza proprio per i cinesi, grazie al fatto che i capitali avrebbero la possibilità di meglio muoversi, laddove sono richiesti e meglio remunerati.
C’è poi la grandissima questione valutaria. Washington chiede che lo yuan venga rivalutato. La Cina si è impegnata ufficialmente non solo a rivalutarlo, ma addirittura alla piena convertibilità della propria moneta. Ma fin’ora tutto è rimasto lettera morta. Eppure, aggiunge il rapporto, proprio una rivalutazione della valuta cinese aiuterebbe il Paese verso un modello di crescita più stabile nel medio-lungo termine, grazie a un maggiore equilibrio tra un’economia orientata alle esportazioni e una basata sulla domanda interna.
Ma la Cina non esporta soltanto, ma importa anche. Solo in questi primi sei mesi dell’anno, le importazioni di greggio dall’Iran sono cresciute del 40% su base annua, per una media di 648 mila barili al giorno. E per raggirare le sanzioni internazionali, Pechino e Teheran avrebbero concordato di regolare i pagamenti in natura, ossia con il baratto. Ma intanto, il debito cinese è salito a oltre 20 miliardi di dollari verso l’Iran.