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USA in panne, Obama a capo di un disastro

Published by
Giuseppe Timpone

Le trattative per l’innalzamento del tetto del debito e sul piano complessivo di riduzione del deficit federale si sono interrotte. Democratici e Repubblicani non sono più seduti a Washington attorno a un tavolo. Il clima alla Casa Bianca è di profonda amarezza e di consapevolezza che entro domani, prima che Wall Strett riapra, dopo la pausa del fine-settimana, bisogna dare risposte. E Obama ha fatto diffondere ieri una nota con cui invitava ufficialmente i vertici del GOP e dei Democrats, la cosiddetta “Gang of the six”, a ritrovarsi oggi alla Casa Bianca per le ore 11, le 17 in Italia, al fine di trovare un’intesa prima di domani. Il presidente non si rassegna all’idea di un accordo finalizzato solo a scongiurare il rischio default.

Quando anche si trovasse, infatti, un’intesa per alzare il tetto del debito, le agenzie di rating declasserebbero comunque il rating sui titoli di stato americani e incombe il rischio di una grande crisi finanziaria, che possa materializzarsi in quello che gli analisti chiamano il “doble dip”, ossia la ricaduta dell’altra recessione del 2008-’09. Insomma, è una corsa contro il tempo, ma la sensazione è che non sia il fattore tempo a rappresentare il problema, bensì le distanze tra le parti. I Repubblicani non accettano e non accetteranno mai che Obama riduca il deficit, alzando le tasse sui redditi medio-alti. Ritengono che il risanamento debba passare per il taglio della spesa.

La proposta dello speaker della Camera, John Boehner, solo alcuni mesi fa era quella di tornare allo stesso livello di spesa di tre anni fa, quando alla Casa Bianca c’era ancora Bush. Sì, perchè si possono avere simpatie o antipatie per Bush, ma quando ancora dimorava lui a Washington, il deficit federale era al 5% e il debito non oltre il 70%. Oggi il deficit è all’11% del pil (1500 miliardi di dollari), mentre il debito è appunto a 14.300 miliardi, cioè, al 100%. E nel 2016 si prevede che raggiunga il 112%.

E’ evidente che la situazione resta grave, anzi gravissima. La testardaggine ideologica di Obama, che non rinuncia a discutibili aumenti delle tasse per ripianare il debito da egli stesso ingigantito, è alla base del crollo evidente della superpotenza che farà passare questo presidente alla storia come il primo ad avere affossato l’America in un mare di debiti e di crisi di fiducia dei mercati.

 

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Giuseppe Timpone