La tassa di soggiorno un mostro frutto di demenza

Purtroppo, una volta che il treno delle tasse corre, non è mai facile fermarlo. E così, anche questa volta, molto probabilmente, saremo di fronte all’ennesimo balzello, dalla dubbia costituzionalità, ma che tanto piace agli enti locali famelici e assetati di denaro come un Dracula fiscale.

Il federalismo fiscale, nato dalle migliori intenzioni, sta rischiando di trasformarsi in una manovra di aumento della pressione fiscale, consentendo a Comuni, Province e Regioni di aumentare le tasse o di inventarsene di nuove, per fare fronte alla loro pazza spesa incontrollata.

Un esempio palese è quello della tassa di soggiorno. In sostanza, la legge prevede che i comuni che ricadono in zone ad alto impatto turistico possono imporre una tassa per persona, da riscuotere tramite gli alberghi, ossia i luoghi in cui si registra il soggiorno.

Due motivi, prima di tutti gli altri, spingono a rifiutare questa scelta demenziale. La prima è la più logica: se vogliamo attirare turisti, di certo non possiamo tassarli. In un Paese come l’Italia, dove già molti turisti hanno difficoltà a soggiornare, a causa degli alti prezzi, imporre loro anche di pagare una tassa significa semplicemente farli fuggire dai nostri confini. 

Seconda questione: il metodo di riscossione è assai bizzarro e potrebbe comportare un danno economico serissimo e irreparabile ai danni di tutte le strutture ricettive dei comuni coinvolti. Il rischio è che il turista sfugga al balzello, semplicemente pernottando altrove o anche preferendo strutture alternative, informali, come le case-vacanze, che difficilmente il fisco potrà controllare.

Per non parlare dell’aspetto “marginale” di dubbia conformità alle previsioni costituzionali, che vietano di imporre tasse per limitare gli spostamenti di persone o merci, all’internio del territorio nazionale.

 

 

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