Non si sa ancora come finirà effettivamente la storia dell’odissea greca. I fatti di ieri a Bruxelles ci sembrano suggerire che si possa andare nella direzione di un recupero della fiducia in borsa e sui mercati obbligazionari, con una risalita degli acquisti di titoli di stato e conseguente calo dei rendimenti.
Ma attenzione a confondere una reazione contingente, legata all’ottimismo della giornata, con una situazione stabile. Il piano avrà efficacia, non quando esso verrà erogato, bensì se riuscirà nell’intento di abbassare l’indebitamento della Grecia e degli altri stati coinvolti nella bancarotta, come Irlanda e Portogallo, potendo così dimuìinuire drasticamente il rapporto tra debito e pil.
La Grecia adesso dovrà da un lato tagliare la spesa pubblica con i fatti e non solo con leggi, per ridurre il deficit e giungere entro 4-5 anni al pareggio di bilancio e dall’altro lato dovrà investire ogni sforzo sulla crescita, in modo da agevolare e accelerare il processo di risanamento.
Sarà in grado? Non c’è da illudersi o da entusiasmarsi. La storia politica ed economica del Sud Europa ci dice che quest’area non è (quasi) mai stata in grado di fare politiche serie per la crescita, in favore del mercato e della concorrenza, meno che mai di austerità fiscale, nel senso che non ha le capacità e la volontà di tenere i bilanci in ordine.
Per fare questo, bisognerebbe spezzare il legame tra politica e clientele, che in ogni stato dell’Europa meridionale rappresenta il vero cappio al collo per la crescita delle economie e per una politica accorta e ordinata nell’uso di risorse pubbliche.
Vedremo se il tremolìo alle gambe dei greci avrà sortito un effetto positivo. Altrimenti, l’unica soluzione è separare ciò che non si potrebbe più unire: il Nord e il Sud dell’Europa.