E’ entrato nella fase finale il dibattito sul piano di riduzione del deficit e per evitare il default, che negli USA potrebbe diventare realtà già il 3 agosto, dopo che il giorno precedente sarà raggiunta la quota massima di debito autorizzata dal Congresso e pari a 14300 miliardi di dollari. Quasi certamente, un accordo per evitare il default si troverà, ma è molto probabile che non si giungerà a un’intesa accettabile per ripianare l’immenso buco dei conti pubblici, che nel 2011 vede un deficit federale dell’11%, pari a oltre 1.500 miliardi di dollari.
Un piano serio dovrebbe tendere al pareggio di bilancio, per alleggerire il peso esplosivo di un debito ormai al 100% del pil e che si prevede possa raggiungere al 112% nel 2016. Insomma, gli USA sarebbero un grande Italia, ma con un livello molto più alto di indebitamento annuo (deficit) e con molto più debito privato, contrariamente alla tradizionale parsimonia e oculatezza delle famiglie del Belpaese.
Se i Repubblicani hanno ragione nel tenere il punto sul no all’aumento delle tasse, essendo il problema insito nella spesa pubblica fuori controllo, d’altro canto, essi dovrebbero accettare quello che è evidente in termini puramente contabili. Una delle voci di spesa più gravose sul bilancio federale si chiama “difesa”, i cui costi pesano per quasi 700 miliardi all’anno sulle tasche degli americani (689 miliardi), pari al 4,8% del pil.
Ora, nessuno può negare che una superpotenza economica e politica come gli USA non possano fare a meno di un livello più alto di spesa militare, anche a difesa della loro influenza nel mondo. Tuttavia, anche su questo versante, qualche sacrificio lo si dovrà fare. Si pensi, ad esempio, ai benefici di un taglio del budget di due punti del pil, per circa 290 miliardi di dollari all’anno. Ciò contribuirebbe ad evitare il salasso fiscale che Obama vorrebbe imporre sui redditi medio-alti, con il rischio di una fuga di capitali e investimenti dagli USA e compromettendo la crescita futura e le stesse casse federali.