Sono passati diciannove anni da quel 19 luglio 1992, dal giorno in cui il giudice Paolo Borsellino insieme a Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, i cinque agenti della sua scorta, furono fatti saltare in aria da Cosa Nostra nella strage di via D’Amelio. Una strage su cui ancora non è stata fatta piena luce, anche se la verità sembra più vicina, come ha dichiarato il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia. “Dobbiamo stringerci attorno ai magistrati – ha dichiarato Salvatore Borsellino, il fratello di Paolo – che a Palermo, a Caltanissetta e a Firenze stanno cercando di togliere quel pesante velo nero che ha impedito di arrivare ai mandanti occulti delle stragi”. Un velo che potrebbe essere stato creato anche da parte di uomini dello Stato collusi con la criminalità organizzata.
Ed è proprio di questo che parla il Capo dello Stato nel messaggio inviato alla vedova Borsellino invitando le istituzioni e la collettività ad “uno sforzo convinto e costante nell’opporsi ad atteggiamenti di collusione e indifferenza rispetto al fenomeno mafioso e alla sua pervasività”; il presidente ha inoltre auspicato che “dalle nuove indagini in corso venga al più presto doverosa risposta all’anelito di verità e giustizia su quanto tragicamente accaduto”.
Del rapporto tra mafia e politica parla anche il presidente della Camera Gianfranco Fini che questa mattina era a Palermo per le commemorazioni della strage di via Amelio; la lotta alla mafia secondo Fini “passa soprattutto per la capacità dei partiti di fare pulizia al proprio interno, eliminando ogni zona di contiguità con la criminalità e il malaffare”. “Questo significa – secondo il presidente della Camera – evitare di candidare persone sospettate di vicinanza con la mafia e soprattutto evitare di elevarli a posti di responsabilità“. “Non è necessario ha concluso Fini – aspettare sentenze definitive per prendere le decisioni che servono. Basta applicare principi di responsabilità politica e di etica pubblica”.
Le parole del presidente della Camera sono state lette come un attacco a chi ha nominato ministro Saverio Romano, nonostante fosse indagato per presunti legami con Cosa nostra ed immediata è arrivata la replica del Pdl con le parole di Capezzone secondo cui “Proprio il luminoso esempio di Falcone e Borsellino insegna che la lotta alla mafia si può fare anche (e soprattutto) essendo favorevoli a una profonda riforma della giustizia, senza mai cadere in una logica di accettazione generalizzata e passiva di tutto ciò che i pentiti dicono (ma discernendo bene) e senza mai prestare il fianco a logiche di giustizialismo o, peggio ancora, di cultura del sospetto”.
Una polemica che non spegne l’insegnamento che Paolo Borsellino ha tramandato con il suo sacrificio e che non può far dimenticare il desiderio di verità che l’Italia onesta continua a chiedere.