Ora affrontare il vero dramma italiano: la crescita

Quale che sia il giudizio sulla manovra, non può certo essere considerato sufficiente il varo di un piano per il raggiungimento del pareggio di bilancio, nell’arco di un triennio. Lo sarebbe in una situazione normale. Ma l’Italia vive un’anomalia, come solo il Giappone, tra le grandi economie mondiali: non cresce da venti anni. Il tasso di crescita del nostro Paese è stagnante dalla fine della prima repubblica e ciò ha impedito alla nostra economia di alleviare l’ingente peso del debito, ereditato proprio dagli anni Ottanta del consociativismo politico.

Oggi, il nostro Paese si trova ad avere lo stesso rapporto tra debito e pil degli inizi degli anni Novanta, cosa che frustrerebbe anche il politico più navigato. Ora, ad essere sinceri, questo è però un punto di forza per l’Italia, perchè significa che siamo abituati già ad avere un fardello così pesante da gestire, non sarebbe, cioè, per il nostro governo la prima volta con un debito di tali dimensioni.

Tuttavia, è chiaro che non possiamo più permetterci di rinviare il nodo che ha sino ad oggi impedito all’economia del Belpaese di crescere a un tasso maggiore: le riforme. Malgrado siano invocate, quasi fossero misure incolori e misteriose, sono necessarie leggi che aumentino la concorrenza sui mercati, liberalizzando ogni settore dell’economia. Ciò libererebbe energie, investimenti e accrescerebbe la produzione e anche l’occupazione.

Secondo capitolo: le tasse. Nessuno stato cresce con una pressione fiscale quasi al 44% del pil. Bisogna tagliare, tagliare e ancora tagliare le aliquote, ovviamente, contestualmente riducendo la spesa, a parità di saldi di bilancio.

Infine, ma non per importanza, è indispensabile picconare il muro elevato della burocrazia. L’Italia deve passare dall’essere il Paese delle carte a quello degli affari e delle opportunità. La sicurezza e il rispetto delle leggi non sta nelle scartoffie da compilare. Ma questa è forse l’operazione più rivoluzionaria da fare, perchè coinvolge il modo di pensare della nostra amministrazione pubblica e atrofica.

 

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