Una notizia brutta e una buona dalla Cina. Cominciamo dalla cattiva: i prezzi continuano a correre, arrivando a crescere del 6,4% a giugno, rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. E pensare che il 5,5% di inflazione a maggio veniva considerato quasi un tasso limite. Tutto questo accade, nonostante il governo di Pechino e la Banca Popolare Cinese abbiano attuati cinque strette in meno di 9 mesi, con l’innalzamento dei tassi repo e depo. Non solo: è del tasso record del 21,5% il coefficiente di riserva obbligatoria per le banche, al fine di affievolire la liquidità in circolazione.
La buona notizia è, invece, che nonostante queste misure di politica monetaria restrittiva, la crescita non sembra avere perso vigore. Tutt’altro. Nel secondo trimestre di quest’anno, il pil è cresciuto del 9,4% sullo stesso periodo del 2010 e del 2,2% sul trimestre precedente. Viene, dunque, sconfessato il pessimismo di chi, a Pechino, temeva un atterraggio troppo irruento dell’economia cinese, verso valori molto più contenuti.
Nelle città, gli investimenti nominali sono scresciuti del 25,6% nel primo semestre del 2011, rispetto allo stesso semestre 2010, così come la produzione industriale a giugno ha segnato un +15,1% su giugno 2010, in accelerazione sullo stesso maggio 2011. Come dire, che la crescita tende persino a vivere tassi di accelerazione, anzichè, di frenata.
A questo punto, è probabile che il governo vada verso una nuova stretta, in considerazione delle cifre positive sulla crescita, magari con un nuovo rialzo entro l’estate. Non pare, invece, che si abbia intenzione di rivalutare il tasso di cambio, che avrebbe un effetto strutturale di allentamento delle tensioni inflazionistiche, dopo la diffusione dei dati sul commercio estero, che darebbero in forte frenata l’attivo commerciale.