L’Erede – Recensione

Opera prima di Michael Zampino, “L’Erede” è un film che sfrutta in modo sapiente l’ambientazione e la forte caratterizzazione dei personaggi. Tutta la vicenda è incentrata su una strana eredità che un radiologo milanese, Bruno (Alessandro Roja), avrebbe ricevuto dal padre e sui misteri che si celano dietro di essa. Il protagonista della storia poi, non immagina minimamente cosa lo aspetta accettando il prezioso lascito, e ingenuamente si avventura insieme alla sua fidanzata Francesca (Maria Sole Mansutti) tra i monti Sibillini, andando incontro al suo infausto destino.

Qui, oltre a rendersi conto delle reali potenzialità economiche che potrebbero derivare dalla ristrutturazione della grande villa di inizio ‘900, fa la conoscenza della famiglia Santucci e in particolare della signora Paola (Guia Jelo), custode dell’antica dimora nonchè vecchia fiamma del padre di Bruno. Nel corso del film sarà proprio questa donna, che delusa dall’amore e privata di tutto ciò che a detta sua, le sarebbe dovuto spettare di diritto, darà del filo da torcere al nostro sfortunato medico, rendendogli la vita un vero inferno.

Bruno scoprirà a sue spese che cosa significa risvegliare ricordi e rancori mai sopiti, e non potrà far niente per impedire la violenta reazione dei suoi vicini di casa, bramosi di portargli via villa, mobili e giardino, con l’unico e tremendo desiderio di vendicarsi per i torti subiti a causa del genitore. L’uomo ingaggerà una dura battaglia con Paola e i suoi due figli Giovanni e Angela, interpretati rispettivamente da Davide Lorino e Tresy Taddei, rimanendo invischiato nella micidiale trappola di folli individui senza scrupoli, intenzionati a fargliela pagare con ogni mezzo possibile.

Il film di Zampino è a tutti gli effetti un buon thriller all’italiana, sorretto dalla sceneggiatura di Ugo Chitì, dall’ottima e cupa fotografia di Mauro Marchetti, dalle musiche di Riccardo Della Ragione e dall’intensa recitazione di Guia Jelo, perfettamente calata nel ruolo affidatole. Dalla pellicola traspare una continua inquietudine, un senso opprimente di qualcosa di maligno, che sta per abbattersi sull’inerme e ignaro protagonista, che non a caso in alcune scene viene ripreso in compagnia di un coniglio, probabilmente proprio per far intendere allo spettatore che Bruno è prossima vittima di spietati predatori.

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