Ancora un altro flop per la stagione dei saldi. Le associazioni dei consumatori Adusbef e Federconsumatori hanno comunicato i primi dati della prima settimana dei sladi estivi, partiti ufficialmente il 2 luglio scorso e i risultati non sono affatto incoraggianti. Il calo delle vendite si aggira sull’8-10%, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, quando già si era verificato un crollo.
Se il dato fosse successivamente confermato, sarebbe l‘ennesima riprova che i saldi, così come sono stati congeniati, non funzionano più. Le due associazioni parlano di una causa da ricercare nella crisi economica, che erodendo il potere d’acquisto delle famiglie, non farebbe decollare i consumi, neanche quando i prezzo vengono scontati.
Non è certamente falso, ma la ragione specifica del flop andrebbe forse ricercata altrove. Ormai, da anni, i saldi sono preceduti da sconti che gli stessi dettaglianti operano alla clientela, in modo più o meno di nascosto, al fine di raggirare la legislazione rigida, che regolamenta la materia e al fine di attirare clienti e aumentare le vendite nel corso dell’anno.
Oltre a ciò, c’è il fattore internet, che vede il boom degli acquisti online, grazie ai minori prezzi di vendita, che operano già come un effetto di calmieramento e di anticipo sulla stagione dei saldi. E’ evidente che pensare ai saldi di fine stagione, rifacendosi a un modello di consumo che avrebbe potuto andare bene fino ad alcuni anni fa, non avrà altro esito che cali continui di vendite, rispetto alle stagioni d’oro degli anni passati.
La sfida per il settore del commercio si chiama liberalizzazione. I commercianti accettino l’idea che gli sconti si possano praticare nel corso di tutto l’anno e a piacimento del singolo dettagliante. Questa maggiore concorrenza comporterà una redistribuzione degli acquisti tra i vari mesi e a una maggiore vivacità dei consumi. Chiudersi nel bunker del corporativismo non aiuta la categoria. I consumatori continuano a scappare.