L’istituto economico di Pechino National Development and Reform Commission ha previsto un rallentamento della crescita cinese, già a partire da questo terzo trimestre 2011, con un aumento del pil su base annua, al di sotto del 9%. Nel primo trimestre di quest’anno, l’economia è cresciuta del 9,7%, contro il 9,8% annuo del quarto trimestre 2010, sostanzialmente stabile.
Tuttavia, in questi mesi, a partire dallo scorso ottobre, la Banca Popolare Cinese, in accordo con il governo di Pechino, ha intrapreso una politica monetaria restrittiva, al fine di contenere l’alta crescita dei prezzi, che stanno subendo aumenti vistosi, soprattutto per i beni alimentari, con il rischio di esacerbare i conflitti sociali.
Da allora, per ben quattro volte i tassi sono stati aumentati e sono stati inaspriti i coefficienti di riserva obbligatoria delle banche, per contenere la massa liquida in circolazione. I risultati di queste operazioni sono stati, fino ad ora, una stabilizzazione dell’inflazione, su base annua, intorno al 5,5%, ma potrebbe essere inevitabile anche un raffreddamento dell’economia, come indicano anche i dati sulla produzione manifatturiera delle Pmi.
Certo, non si può propriamente definire un’economia “raffreddata” quella che corre a ritmi intorno al 9%, ma non è un caso che nei mesi scorsi il premer Wen Jiabao abbia parlato di una stima di crescita media del 7%, per il prossimo quinquennio, contro una media del 7,45%, per i dieci anni appena trascorsi.
Il timore di Pechino si chiama essenzialmente speculazione immobiliare. Si ha paura, cioè, che l’enorme massa di denaro investita in immobili, grazie ai bassi tassi di interesse degli ultimi anni, possa determinare le condizioni per lo scoppio della bolla, nel momento in cui gli stessi tassi risaliranno drasticamente, per limitare la crescita dei prezzi.