In settimana, sarà più chiara la bozza di riforma del fisco, che il ministro dell’economia dovrà presentare al consiglio dei ministri di giovedì. Le indiscrezioni sono tante, ma come spesso capita in questi casi, la vera riforma sarà solo quella che il governo presenterà alle Camere. Difficile, invece, che il Parlamento potrà apportare reali modifiche, in quanto i tempi sono molto stretti.
Uno dei punti che dovrebbe essere confermato pare essere l’unificazione delle due aliquote sulle rendite finanziarie, oggi al 12,5% e al 27,5% (quest’ultima aliquota solo sugli interessi da risparmi in banca o posta). Si parla di un’aliquota unica al 20%, che comporterebbe un aggravio di imposta sulle rendite finanziarie, come i dividendi e la differenza tra prezzo di vendita e quello di acquisto delle azioni (capital gains). Da tale aumento sarebbero però esclusi i titoli di stato, che pertanto manterrebbero un’aliquota agevolata al 12,5%.
Tra minori incassi dall’imposta sugli interessi e maggiori introiti da altre rendite finanziarie, si prevede un maggior gettito massimo di un paio di miliardi, ma vale la pena sottolineare che non è mai semplice dare cifre, in questo ambito, in quanto i mercati sono soggetti già per loro natura a volatilità e la previsione di un aumento d’imposta potrebbe comportare una fuga degli investimenti dall’Italia. Tanto per fare un esempio, negli anni ’80, negli USA, il Presidente Reagan decise di aumentare l’aliquota sulle rendite finanziarie, portandola al 28%. L’esito fu il crollo di un terzo del gettito fiscale da queste derivante.
L’altro punto della manovra, non certo, ma probabile, è l’introduzione di un bonus sui figli a carico, basati sul reddito e sul numero dei figli, che rappresenterebbe il primo capitolo del cosiddetto “quoziente familiare”.