Vengono passati in rassegna i cavalli di battaglia dei loro due album, con qualche puntata riservata a singoli e EP (“Higher than the Stars”, forse il miglior pezzo dei Cure non scritto dai Cure). La voce delicata di Kip Berman è abilmente supportata dai cori della tastierista Peggy Wang, mentre intorno a loro la sezione ritmica si dimostra abilissima nel tenere insieme anche i pezzi più frenetici (“Come Saturday”). A farla da padrone ovviamente sono la melodia e le atmosfere anni ’80, ma quando la rigida struttura dei brani lo permette, la band accende la distorsione e le chitarre si cimentano in lunghi assoli, a metà tra My Bloody Valentine e Dinosaur Jr.
La gente assiepata nel poco spazio disponibile di fronte al palco apprezza la freschezza del quintetto, che in poco più di un’ora ha esaurito il set e si rifugia all’interno per una breve pausa. Nei bis c’è spazio per una versione di “Contender” suonata dal solo cantante, e per altri due pezzi.
Il gruppo di Brooklyn chiude tra applausi convinti, e la sensazione è che questa sera siano riusciti a far ballare anche i più scettici. Nonostante la distorsione, il loro sound è vera musica per sognatori, nella quale anche il rumore viene piegato alle esigenze della melodia. E cosa si può chiedere di meglio per una romantica serata sotto le stelle?