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Lega Nord, perchè a Bossi (ancora) non c’è alternativa

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Giuseppe Timpone

Il Popolo della Libertà è in stato febbrile abbastanza serio, scosso da agitazioni interne, spesso personalistiche, tali da rendere necessaria quella rivoluzione organizzativa, che ha il suo inizio con la leadership affidata al ministro Angelino Alfano, nominato segretario politico del partito. Ma gli alleati di governo, forse per la prima volta, non potranno beneficiare di questo stato avvilente del maggiore partito della coalizione e del Paese, dato che le condizioni della Lega Nord sono non migliori. Ormai, il partito nordista è spaccato in due tronconi, da una parte il capo, il Senatùr, il leader indiscusso (fino a poco tempo fa), l’Umberto Bossi, attorno a cui i destini di questo partito hanno gravitato ininterrottamente da venti anni e più. Dall’altra parte, invece, abbiamo la triade dei Roberto (Maroni, Castelli, Calderoli), che si starebbe preparando a succedere al vecchio capo, senza attendere la fine naturale della sua esperienza politica, forse consapevoli che il momento storico di svolta potrebbe essere questo e non un altro.

Ma a guardare con occhi disincantati quanto accade dentro la Lega, non pare che a Bossi ci sia un’alternativa realistica di leadership, ancora oggi. Certo, Marono negherà di ambire a fare le scarpe al Senatùr, ma tant’è.

Eppure, le uniche elezioni politiche gestite dalla triade, quando nel 2006 Umberto Bossi non partecipò granchè alla campagna elettorale, non ancora ripresosi del tutto dalla malattia che lo colpì nel 2004, diedero un risultato scadente, un 4,5% circa, che fu inferiore di circa tre punti e mezzo di quanto sia riuscito solo due anni dopo a fare Bossi, in pieno ritorno all’attività politica.

Solo coincidenza? Forse, ma probabilmente il vecchio leader dimostra di avere una capacità maggiore di stare al contempo nel governo e di fiutare il sentimento della base, che ne dica la triade. Bossi ha avuto, in questi anni, l’abilità di ampliare il consenso della sua Lega a una porzione di elettorato, che non aveva spartito nulla con le proposte secessioniste degli anni ’90, il che ha reso il partito ben temibile, agli occhi anche degli alleati di governo.

Maroni, nonostante le sue indubbie capacità di ministro, così come di moderazione agli occhi dell’opinione pubblica, avrebbe il difetto di essere supportato da uno “staff”, che sembra spesso tornare alle invettive e agli epiteti di oltre una decina di anni or sono, al fine di rispolverare un linguaggio celodurista, rinvigorendo la base, non comprendendo che la base di oggi è diversa e più ampia di alcuni anni fa e dando un colpo alle ambizioni personali di Bobo, il quale con le bordate e alcune “sparate” del resto della triade rischia di isolarsi dal centro-destra, ma senza per questo conquistare spazi e simpatie altrove, se non temporaneamente a “fini” strumentali (caso Fli docet).

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Giuseppe Timpone