1) Ora gli elettori scelgono fra “liste bloccate” ossia preconfezionate dai partiti, senza possibilità di indicare una preferenza e limitandosi dunque ad “approvare” scelte già prese. Un sistema che rafforza la partitocrazia e priva di un principio fondamentale, quello del legame diretto tra cittadino ed eletto.
2) Il “premio di maggioranza” assegna minimo 340 seggi alla Camera dei Deputati alla coalizione che ottenga la maggioranza relativa dei voti. Al Senato invece la situazione si complica, con il premio di maggioranza assegnato ad ogni coalizione vincente localmente, con i seggi attribuiti su base regionale. La ricerca spasmodica del premio di maggioranza costringe ad alleanze anche innaturali ed instabili.
3) Sulla scheda elettorale c’è l’obbligo per ciascuna forza politica di indicare il proprio leader per la presidenza del consiglio: una imposizione che secondo i referendari porta ad una surrettizia trasformazione in repubblica semi-presidenziale, senza attualmente averne i meccanismi di controllo.
4) Si chiede di mantenere una “soglia di sbarramento” (al di sotto delle quali non si ha nemmeno un seggio) unica al 4%, abolendo le diversificazioni che risultano favorire le liste collegate in coalizione (soglia interna al 2%) con gli stessi problemi del punto 2.
Il politologo Giovanni Sartori, sostenitore dell’iniziativa, ritiene che “il premio di maggioranza dato a una minoranza è il vizio maggiore della legge, falsa tutto il sistema politico: le leggi elettorali trasformano i voti in seggi e questa legge li trasforma male” e suggerisce per l’Italia un doppio turno alla francese o un sistema simile a quello tedesco, rimproverando i partiti che hanno mostrato sulla materia una disdicevole inerzia.
Per Enzo Cheli, giudice della Corte costituzionale, questa è addirittura la “peggiore legge elettorale della storia italiana“. “Al di là delle conseguenze, come intere aree sociali buttate fuori dal Parlamento, il premio di maggioranza dato ad una coalizione al di là di una soglia minima è a rischio di costituzionalità”. Il primo obiettivo è quindi raggiungere entro settembre 500mila firme, necessarie per validare il referendum presso la Corte di Cassazione. Tra i molti nomi noti che aderiscono da subito: Corrado Augias, Umberto Eco, Carlo Feltrinelli, Domenico Fisichella, Margherita Hack.
Mario Segni, autore dei referendum elettorali che negli anni Novanta portarono all’abolizione della preferenza multipla e all’introduzione dei collegi uninominali è contrario all’iniziativa: “E’ il ritorno alla peggiore partitocrazia, ai governi fatti e disfatti dai partiti alla spalle dei cittadini” e trova in questo l’appoggio dei Radicali, sostenitori del maggioritario. Ma anche nel Pd vi sono contrari, tra cui Arturo Parisi e Stefano Ceccanti. Un sì deciso arriva dall’Udc: “Sosteniamo con convinzione il Comitato referendario”, dichiara Pierluigi Mantini, già più volte intervenuto sulla questione nei giorni scorsi.