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Irpef e Iva: lo scambio non conviene all’economia italiana

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Filadelfo Scamporrino

La coperta è corta, i conti pubblici devono essere tenuti in ordine, ma la Lega Nord da qualche giorno a questa parte ha incalzato il Governo di cui fa parte, chiedendo, tra l’altro, di procedere in tempi brevi con la riforma fiscale. Una delle ipotesi di revisione della tassazione è data dallo spostamento del prelievo fiscale, almeno in parte, dalle persone ai consumi, ovverosia dall’imposta sui redditi delle persone fisiche (Irpef) all’imposta sul valore aggiunto (Iva).

Ma conviene una manovra fiscale del genere all’economia italiana? Ebbene, secondo le stime e le elaborazioni della Confcommercio lo “scambio” Irpef-Iva non è conveniente in quanto l’effetto per il ciclo sarebbe sostanzialmente depressivo. Considerando la parità dei saldi, e quindi aumentando l’Iva di 1 o 2 punti percentuali, e diminuendo l’Irpef per la stessa entità, la Confcommercio ha ricavato che in questo modo ogni anno le famiglie andrebbero a spendere in media 341 euro in meno; questo comporterebbe sia una diminuzione dei consumi, sia un calo del prodotto interno lordo nazionale dell’ordine dello 0,6%, ed un extra deficit calcolato tra 1 miliardo e 1,6 miliardi di euro.

L’analisi della Confcommercio, vista dal lato delle ricadute a livello economico, fa sostanzialmente il paio con le recenti affermazioni della Cgil, che ha seccamente bocciato l’ipotesi di ridurre l’Irpef a fronte di un contestuale aumento dell’imposta sul valore aggiunto (Iva). Questo perché, tra l’altro, i milioni di poveri che in Italia Irpef non ne pagano, si ritroverebbero a dover spendere di più a parità di consumi per i beni di prima necessità. Insomma, sarebbe una stangata sugli incapienti.

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Filadelfo Scamporrino