Nonostante abbia fatto ingresso a Downig Strett, attraverso una coalizione con i LibDem di Nick Clegg, con cui la coabitazione è molto difficile, negli ultimi tempi, il premier britannico David Cameron sembra proprio deciso a ingranare la marcia delle riforme economiche, che nei primi mesi del suo mandato non sembravano poi così eclatanti.
E così, dopo avere previsto un taglio drastico del numero di dipendenti pubblici (saranno licenziati 500 mila dipendenti su 2 milioni), il premier è passato al contrattacco sul versante della previdenza per i dipendenti pubblici, che andranno in pensione 6 anni dopo, entro il 2020. Non più a 60 anni, godendo di uno storico privilegio, bensì a 66 anni.
Non solo: sono stati previsti un aumento dei contributi da versare per la pensione e un calcolo contributivo, al posto del metodo retributivo, utilizzato fino a oggi, che esitava una pensione legata all’importo dell’ultimo stipendio (più o meno del 100%).
Sulla sanità, la sua proposta di cancellare le National Health Service, le Asl inglesi, non ha avuto successo, incontrando parecchie resistenze, tanto da dovere fare marcia indietro.
Ma la vera rivoluzione del premier conservatore dovrebbe essere quella della cosiddetta “Big Society”, contro il “big government” di stampo laburista. In sostanza, le famiglie avrebbero direttamente i soldi, per godere di determinati servizi, che così sarebbero sottratti dal controllo dello stato e dalle lobbies, che hanno il solo fine di mantenere l’apparato ingessato e mastodontico attuale.
Con la rivoluzione di Cameron, le famiglie riceverebbero i soldi direttamente in tasca per curare un figlio disabile o per le lunghe malattie, così come sarebbero gestiti dai comuni molti servizi come biblioteche, parchi, campi da gioco. Un modo per togliere dallo stato il controllo sulle vite dei cittadini e per creare maggiore libertà economica, pur in presenza di una via di assistenza sociale garantita.