Venerdì 17 giugno in Arabia Saudita è andata in scena una forma di protesta che ha del surreale, pur considerando che si tratti di uno stato mussulmano: decine di donne si sono messe in contatto, tramite la rete, utilizzando social network, come Facebook e Twitter, al fine di protestare contro il divieto saudita di guida per il gentil sesso. La sfida parte dopo che una donna di 32 anni era stata arrestata e incarcerata per due settimane per essere stata sorpresa a guidare un’auto. Da allora su internet c’è stato un tam tam che è sfociato in una sfida alle istituzioni di Riad, con una quarantina di donne che sarebbero passate dalle parole ai fatti, scorazzando in varie zone del Paese in automobile. Il condizionale è d’obbligo anche se, come prova, molte donne hanno postato in rete i video delle loro azioni, ma dati ufficiali non esistono, perchè il regime saudita ha cercato di tacere la protesta, semplicemente ignorandola. Pare, infatti, che la polizia abbia finto di non vedere, tranne in un caso, con una donna arrestata per avere guidato senza patente.
E, in effetti, il paradosso è che le la polizia avrebbe tutto il diritto di arrestare le donne alla guida, perchè essendo loro vietato di condurre un’auto, non hanno la patente e senza questo documento è ovvio che non si può guidare.
Tuttavia, poco o nulla cambierà in Arabia Saudita, con il ministro degli interni che ha dichiarato di seguire solo la legge, giusta o sbagliata che sia. E nel Paese vige ancora la legge del 1990, che vieta alle donne di guidare, come voluto dal re.
Incredibile, comunque vada a finire, che mentre il resto del mondo arabo è in fiamme per rivendicazioni come la democrazia, la libertà, la trasparenza delle istituzioni, qui è finita nel nulla e non ha ottenuto alcuna visibilità anche una semplice richiesta di guida.
Non c’è sentore a Riad del vento della libertà e della democrazia che spira altrove, nessuna richiesta popolare in tal senso, nessuna concessione del Re Abdullah, anche solo minima.
Forse in Arabia non si vive lo stesso contesto sociale di disagio di Egitto o Tunisia, ma pare che anche qui non siano rose e fiori, se fosse vero il dato che la disoccupazione giovanile ammonta al 30% e che quasi l’80% delle donne istruite non ha un lavoro.