Uno solo è il punto fermo, su cui in via XX Settembre non ci si smuove, e a ragione: il taglio dell’Irpef non avverrà in deficit. Tradotto, significa che sarà finanziato da tagli alle spese o con maggiori entrate, ma a parità di saldi di bilancio.
La minaccia di Moody’s di declassare i conti italiani, se non vi sarà un risanamento effettivo, ha fatto pendere la bilancia dalla parte di Tremonti, su questo punto.
L’ipotesi che circola e che lo stesso ministro dell’economia aveva palesato nei giorni scorsi è di tre aliquote al 20%, 30%, 40%. Ovviamente, non tutta la riforma sarà attuata entro la legislatura, anzi prudenza vuole che si dovrebbe dar seguito solo al primo capitolo, che sebbene non rivoluzioni tanto la materia, sarebbe già un primo segnale.
Esso consisterebbe in un taglio della prima aliquota del 23%, applicata allo scaglione di reddito fino a 15 mila euro annui, che passerebbe al 20%. Un paio di centinaia di euro di imposte in meno; non proprio male in un periodo come questo. Possibile, ovviamente, qualche altra sforbiciata sulle altre aliquote o l’estensione degli scaglioni di reddito alle aliquote inferiori.
Il finanziamento dovrebbe avvenire tramite la riduzione della boscaglia di deduzioni e detrazioni fiscali, oltre che a una rimodulazione dell’Iva, agendo forse sulle aliquote agevolate del 4% e del 10%.