Il dato dell’inflazione in Cina a maggio segnala una crescita dei prezzi del 5,5%, ai massimi dal luglio del 2008. In linea con le previsioni degli analisti, tuttavia, esso preoccupa il governo di Pechino, che teme ripercussioni forti sulla stabilità sociale, considerando l’inflazione “una tigre in gabbia, che quando scappa non è facile da riprendere”, per usare le parole del premier Wen Jiabao.
Corrono i prezzi a maggio, dunque, dopo una fase tra marzo e aprile, in cui ci si era quasi illusi di essere riusciti ad arrestare la corsa dell’inflazione, grazie all’incremento dei tassi da parte della Banca Popolare della Cina.
Ma dopo una prima metà di maggio, con prezzi della verdura in discesa, la seconda metà è stata caratterizzata da un loro boom del 40% su base annua, a causa della siccità che ha colpito il Paese e decimato i raccolti.
Per questo, gli analisti prevedono che la parte “food” del paniere cinese possa proseguire la sua corsa al rialzo dei prezzi, nonostante le autorità monetarie di Pechino sia intervenute immediatamente dopo la pubblicazione dei dati sull’inflazione, innalzando la riserva obbligatoria per le banche di 50 punti base, portandola dal 21% al 21,5%.
L’operazione dovrebbe diminuire la massa dei prestiti interbancari di circa 41 miliardi, con un effetto di innalzamento del costo dei finanziamenti e, quindi, una minore massa di moneta in circolazione, con prezzi tendenzialmente in frenata.
Resta alla radice, però, il problema del surplus della bilancia dei pagamenti, che, per quanto in discesa, continua a contribuire positivamente alla creazione di base monetaria. Solo una vigorosa politica monetaria restrittiva e una rivalutazione del tasso di cambio potrebbe portare a un cambiamento di rotta dell’inflazione.