Da quanto risulta dall’indagine messa in piedi dalla Procura, molti politici hanno chiesto per molto tempo alle ‘ndrine aiuto per ricevere voti, spesso pagando in contanti e promettendo futuri appalti. Da quanto si legge dalle intercettazioni raccolte in questi anni, la rete era estremamente capillare e il sistema coinvolgeva moltissime persone, fra mafiosi e non. I politici potevano “sdebitarsi” nei confronti delle famiglie anche inviando soldi per il mantenimento degli affiliati in carcere.
La pressione mafiosa si faceva sentire anche nelle imprese locali, in quanto qualora qualcuno decideva di non sottostare alle regole della ‘ndrangheta, rischiava grosso. Ne è l’esempio un assessore di un comune torinese che fu minacciato con un fucile a pompa per aver fatto effettuare dei controlli su un cantiere edile controllato da una potente famiglia locale. L’uomo, una volta liberato, non andò a denunciare l’accaduto.
L’operazione, denominata “Minotauro”, è stata guidata dalla squadra antimafia di Torino ed ha coinvolto circa 1.300 militari, che hanno effettuato arresti, perquisizioni e sequestri fra Torino, Milano, Modena e Reggio Calabria. Gli arrestati sono stati accusati di associazione di tipo mafioso, traffico di sostanze stupefacenti, detenzione e porto di armi illegali, trasferimento fraudolento di valori, usura, estorsione ed altri reati ancora. Impegnati nell’operazione anche più di 100 finanzieri, che si sono occupati del sequestro di ville, appartamenti e terreni e hanno posto sotto misure cautelari 10 aziende, svariati conti correnti e cassette di sicurezza.