Forse da quando è a capo della Federal Reserve, il governatore americano Ben Bernaanke non aveva mai utilizzato toni tanto allarmistici e scoranti sulla situazione economica degli USA. In un suo discorso ad Atlanta, Bernanke ha definito la ripresa americana dell’economia eccessivamente lenta, lenta in “modo disperato”, riferendosi agli ultimi dati sulla crescita del pil, che segnalano un dimezzamento dai valori di fine 2010 e un rallentamento nel tasso di creazione di nuovi posti di lavoro, tanto che la disoccupazione è tornata a crescere, sforando quota 9%.
Per queste ragioni, il governatore ha lasciato intendere piuttosto chiaramente che proseguirà con la stessa politica monetaria accomodante degli ultimi tre anni, quindi, avanti tutta con i tassi zero. E quanto alle preoccupazioni espresse da molti analisti sull’impatto di queste misure sull’inflazione, egli ha affermato che a suo avviso le spinte al rialzo dei prezzi sarebbero temporanee.
Due sono le cause principali, secondo il numero uno della Fed, della battuta d’arresto dell’economia a stelle e strisce: il disastro del Giappone e l’aumento del prezzo del petrolio.
L’aumento dei prezzi del greggio, in effetti, è molto sentito in America, con effetti evidenti sui prezzi dei carburanti, giunti ormai a 4 dollari al gallone, un livello mai raggiunto negli USA prima.
Ma la reale preoccupazione dell’amministrazione Obama riguarda il mercato del lavoro, che segnala un numero di nuovi posti di lavoro, pari alla metà della media mensile che si rende necessaria, per ridurre stabilmente il tasso di disoccupazione. E la politica dei tassi zero di Bernanke-Obama si è rivelata inconcludente e dannosa, rischiando di danneggiare la ripresa futura, con spinte inflazionistiche.