Il “caso Fazio” e la memoria corta della politica

E’ notizia di questi giorni che l’ex governatore di Bankitalia, Antonio Fazio, è stato condannato a 4 anni di reclusione, per il caso della scalata alla Banca Antonveneta, iniziato con intercettazioni delle chiamate tra l’ex numero uno di Palazzo Koche e il banchiere Gianpiero Fiorani. Il caso dei cosiddetti “furbetti del quartierino” fu poi alla base della valanga che lo travolse a fine del 2005, quando il governo Berlusconi allora lo costrinse a dimettersi (tramite “moral suasion”), mettendo al suo posto l’attuale governatore Mario Draghi.

Eppure la storia di Fazio, che ha guidato la Banca d’Italia dal 1993 al 2005, non può essere derubricata a una sorta di faccenda criminale, in quanto la sua gestione, piaccia o meno, ha sopperito a una mancanza di politica, nel settore bancario, che avrebbe potuto fare diventare l’Italia un terreno di conquista di grosse banche straniere (tedesche, olandesi, francesi, in testa).

Quando il mercato delle banche, infatti, fu liberalizzato agli inizi degli anni Novanta, le dimensioni delle banche italiane erano piuttosto ridotte, mentre all’estero vi erano grandi e numerosi colossi del credito, che potevano benissimo fare shopping degli sportelli ben distribuiti sul territorio italiano, raccogliendo i risparmi delle famiglie italiane, per poi investirli in altri stati e aree d’Europa, in cui le più grandi dimensioni d’impresa avrebbero consentito impieghi più a basso rischio.

Con la sua politica di fatto a protezione del sistema bancario italiano, cercando di creare fusioni e acquisti tra istituti di credito e banche commerciali nostrane, Fazio ha cercato di incrementare le dimensioni delle nostre banche, per creare un sistema che si potesse presentare più solido, nel momento in cui si sarebbe aperto all’Europa. 

Poi, come spesso capita, le pur buone intenzioni si trasformano in cattivi atti e in cattiva gestione. E di questo Fazio deve giustamente rispondere, ma anche la politica degli anni Novanta dovrebbe fare “mea culpa”, per il vuoto lasciato in un settore cruciale per la nostra economia.

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