Ballottaggi, PDL travolto da rabbia dei moderati

Non c’è altro modo per definire quanto è accaduto ieri alle elezioni per il ballottaggio delle amministrative, che già due settimane fa, al primo turno, avevano lasciato trasparire una certa debacle per il centro-destra, soprattutto del PDL. Ieri, già dai primi exit-poll il disastro elettorale della maggioranza era evidente e si è concretizzato in numeri, che non lasciano margine all’interpretazione. A guardare le cifre complessive di questa tornata complessiva, cambia pochissimo, in termini di rapporti tra città governate prima e dopo dalle due coalizioni ma, come spesso accade, le cifre ingannano: se è vero che il rapporto tra centro-sinistra e centro-destra, per le provincie, rimane di 7 a 4, così come gli equilibri sono quasi inalterati per i comuni capoluogo (20 a 9 prima, per il centro-sinistra, contro 22 a 8 di oggi), in realtà la batosta c’è stata e violentissima: Milano e Napoli sono state perse, sprecate, sciupate da scelte di candidati inadeguati, forse, e certamente individuati con i soliti metodi feudali del centro-destra.

Quanto dicono le cifre è che gli elettori del PDL, in particolare, si sono stancati di essere guidati da una classe dirigente che non sente il dovere di rispondere mai alla sua base. In un partito in cui non esistono congressi, non esistono primarie per scegliere i candidati, non esiste alcun metodo per selezionare la classe dirigente, non è da stupirsi se il potere venga poi gestito da persone prive di alcun contatto con la realtà degli elettori e della cittadinanza.

Queste cifre ci dicono che è finito il tempo di fantomatici partiti leggeri, che prendono i voti e scappano, affacciandosi alla vista degli elettori-cittadini dopo cinque anni. La gente pretende partiti seri, non comitati di affari, come il PDL appare da tempo. E allora, come spesso il Premier Berlusconi è solito dire, da un male può sempre nascere un bene. Se dal male (per il centro-destra) di avere perso realtà importanti del Paese, che teoricamente avrebbe potuto vincere a mani basse, ne deriverà un bene, ossia la capacità di strutturare e radicare il partito sul territorio, di fare pulizia interna, di cambiare quadri dirigenti e introdurre metodi selettivi più trasparenti e democratici, allora questa sconfitta non sarà stata inutile. Silvio è uomo di concretezza e sa che quando si arriva a certi tonfi, bisogna stravolgere tutto.

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