La Cina, infatti, ha un tasso di cambio fisso, per cui il valore della sua valuta non si apprezza mai, anche quando la sua economia riesce ad esportare ogni anno flussi crescenti di merci e di capitali. Questa distorsione è fino ad ora andata a tutto vantaggio di Pechino, che ha potuto contare su un meccanismo di amplificazione dei vantaggi commerciali con il resto del mondo.
Da qualche mese, però, la situazione sta mutando. A causa dell’abbondante livello di liquidità, derivante proprio dalle esportazioni di merci e dall’ingresso di ingenti capitali, la Cina è alle prese con un’inflazione oltre il 5%, che sta creando le condizioni per un disincentivo alle esportazioni, dato che le sue merci iniziano a diventare un pò meno competitive, a causa dell’aumento dei prezzi. Questo starebbe attenuando la distorsione del tasso di cambio, nonchè le tensioni con gli USA, in testa.
Tanto che lo stesso Geithner non ha usato i toni polemici dei mesi precedenti, ma dichiarando che la stessa Cina parla sempre più di una rivalutazione dello yuan. Il ministro del Tesoro USA ha poi invitato la Cina a darsi una struttura di mercato.
E anche per Pechino, adesso, in funzione anti-inflazione, potrebbe convenire la libera oscillazione dello yuan, o meglio, in una prima fase, il graduale apprezzamento della propria valuta, che aumenterebbe il potere di acquisto interno, spostando parte della domanda dalle esportazioni ai consumi interni, che è poi uno degli obiettivi strategici del governo.