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Medioriente in fiamme, si muore anche in Siria e Yemen

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Giuseppe Timpone

Non si placano le rivolte in tutte le aree del Medioriente, con una situazione che tende sempre più a peggiorare, mietendo vittime e scatenando le repressioni violente dei regimi ancora in sella. Ieri nella città di Taez nello Yemen, a sud della capitale Sana’a, una manifestazione degli insegnanti contro il governo di Saleh per rivendicare l’aumento dello stipendio si è trasformata in un’occasione sanguinaria per il regime, lasciando sul campo tre morti e circa un’ottantina di feriti. Eppure la protesta non aveva alcuna delle motivazioni legate alla richiesta di dimissioni del vecchio presidente, al potere dal 1979. E pensare che lo stesso Saleh aveva annunciato un paio di settimane fa che si sarebbe dimesso entro un mese, consentendo l’apertura di una nuova fase nello stato golfico, andando incontro alle richieste della piazza e alle pressioni della Comunità degli stati del Golfo che aveva incontrato, così come in precedenza avevano fatto le opposizioni. Bisogna vedere, a questo punto, se le aperture di Saleh siano state un bluff per prendere tempo e se aggraveranno il già teso clima che si respira nel Paese da un paio di mesi.

In Egitto, intanto, si diffonde il caos, con scontri che continuano tra mussulmani e cristiani copti. Questi ultimi sono scesi in piazza a manifestare per chiedere le dimissioni del premier Tantawi, incapace di garantire la loro sicurezza. Solo l’intervento dell’esercito li ha messi al sicuro da un tentativo di aggressione di un gruppo di fanatici salafiti. E da fonti governative s’insinua il sospetto che ad organizzare gli scontri siano le vecchie file del regime di Mubarak, che vorrebbero così dimostrare lo stato di caos in cui sarebbe sprofondato il Paese dopo la fine del deposto regime.

E sempre ieri l’Unione Europa ha comminato sanzioni a tredici dirigenti siriani, rei di collaborare e finanziare il regime del dittatore sanguinario Bashar al-Assad. Nella lista compare anche il nome del fratello del presidente siriano, oltre che ad un cugino, considerato tra gli uomini più potenti di Damasco e finanziatore della dittatura. Alquanto strano, però, che non compaia il nome dell’artefice delle repressioni dei giorni scorsi, ossia il presidente al-Assad. Ancora una volta l’UE dimostra di non essere in grado di fare un lavoro compiuto.

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Giuseppe Timpone