La debolezza strutturale del dollaro è comunque destinata a contunuare anche nei prossimi mesi, a causa dell’aumento previsto del differenziale tra i tassi europei e quelli americani, che scoraggeranno in modo crescente gli investimenti in valuta americana.
C’è poi il fattore debito che pesa come un’incognita amara sull’Eurozona, con il caso preoccupante della Grecia, vicina a un default, e del Portogallo, prossimo a un piano di salvataggio.
In caso di ulteriori difficoltà di Atene, a venire risucchiati nel baratro ci sarebbero i sistemi bancari di Francia e Germania, in particolare, e dell’Inghilterra, in misura più esigua.
Anche per questo gli investimenti si stanno concentrando sulle materie prime come oro, argento, petrolio e alimentari, con una spinta speculativa, che alimenta il rialzo continuo delle loro quotazioni e tali da far lanciare l’allarme della Banca Mondiale e del G20 sulle possibili conseguenze negative di tali balzi.
E, tuttavia, la causa regina di tali balzi sta proprio negli USA e in quella politica accomodante sui tassi, che ingenera un biglietto verde debole sui mercati e, a cascata, tutta una serie di effetti.