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Obama bocciato da S&P, presidenziali a rischio

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Giuseppe Timpone

Non tira una bell’aria dalle parti di Washington, dopo che ieri l’agenzia di rating internazionale, Standard & Poor’s, ha minacciato il governo federale di declassare il debito USA, nel giro di due anni, data l’insoddisfacente politica fiscale dell’amministrazione, che non avrebbe ancora (unico tra i Paesi con rating AAA) messo in sicurezza i conti pubblici. Per una super-potenza come gli USA, il messaggio di S&P, che non si è limitato a una minaccia, ma ha mutato il suo outlook sul debito americano da stabile a negativo, non è roba da poco conto.

L’America di Obama rischia la stessa magra figura di quella di Nixon nel 1971, quando l’allora Presidente USA annunciò che l’America non avrebbe potuto più assicurare la piena convertibilità del dollaro in oro, mettendo fine al patto di Bretton Woods.

E pensare che, pur giunto al potere in uno dei momenti più difficili della storia recente americana, nel pieno di una grave recessione nata proprio negli USA, Barack Obama aveva suscitato le simpatie e le speranze della classe media americana, nonchè della stragrande maggioranza dell’opinione pubblica interna e mondiale, per i propositi di cambiamento che intendeva realizzare. A 27 mesi dal suo insediamento ufficiale alla Casa Bianca, però, gli USA si trovano a dovere gestire il peggiore deficit federale della loro storia dal secondo dopoguerra, un rapporto tra debito complessivo e pil al 100%, con un livello crescente di tassazione sulla classe media, con la prospettiva di un taglio dei benefici fiscali della riforma Bush, sui redditi più alti, anzi, con l’impegno di una loro maggiore tassazione, con un forte rosso nel saldo commerciale e un livello di disoccupazione al top, sebbene quest’ultimo dato in discesa e, infine, con un dollaro debole (volutamente) sui mercati.

Certo, si dirà che non tutto gli possa essere addebitato, in quanto molti di questi mali vengono da lontano, ma di sicuro la sterzata promessa nel novembre 2008, che lo portò alla Casa Bianca a furor di popolo, non solo non si vede, ma addirittura la direzione sembra essere opposta. Oggi, gli USA sembrano vulnerabili, come dimostra il caso piuttosto imbarazzante di Wikileaks, con milioni di dossier riservati sbattutti sui giornali di tutto il mondo, creando dissapori e tensioni tra l’America e i governi di mezzo mondo. L’autorevolezza che gli americani avrebbero dovuto riacquistare, dopo il presunto flop dell’Amministrazione di George W. Bush, non si vede, anzi sembra in caduta libera.

E’ presto per dire se tutto ciò avrà ripercussioni concrete alle presidenziali del 2012, quando Obama dovrà correre per la riconferma. Le elezioni dello scorso novembre sono stato un segnale forte di disillusione verso il parolaio magico venuto dall’Illinois. Di certo non basta per ipotizzare una disfatta alle urne del prossimo anno, dato che presidenti popolarissimi come Ronald Reagan persero le elezioni di midterm, così come lo stesso Bill Clinton, che pure dopo due anni trionfò contro l’avversario Bob Dole. L’unica cosa sicura, al momento, è che dopo tante chiacchiere, ancora gli americani sono in attesa trepidante di fatti.

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Giuseppe Timpone