La notizia è rimbombata nel tardi pomeriggio di ieri e ha scosso il mondo del capitalismo italiano e non solo. Pietro Ferrero, amministratore delegato, nonchè proprietario con il fratello Giovanni, dell’omonimo impero dolciario italiano, detentore dei marchi Nutella (1964) e Kinder (1968), è morto ieri in Sudafrica, stroncato da un malore, cadendo dalla sua bici, che come ogni giorno utilizzata, per tenersi in forma.
La morte sarebbe avvenuta per infarto e ha colto improvvisamente Pietro, mentre si trovava in Sudafrica, per affari.
48 anni, figlio di Michele, nipote di Pietro, fondatore a Cuneo di quella che oggi è la più grande multinazionale dolciaria italiana, Pietro viene ricordato da tutti coloro che lo hanno conosciuto come un uomo gentile e schivo, che ha guidato con il fratello un impero del capitalismo internazionale, lontano dai riflettori e dal frastuono mediatico, dedito al suo lavoro e ai valori della famiglia e dei tre figli, che lascia prematuramente.
Con la morte di Pietro Ferrero si allunga la lista degli scomparsi eccellenti e giovani, in Italia, mentre adesso si riflette a voce bassa sulle conseguenze che tale disgrazia potrebbe avere sugli equilibri non solo della Ferrero, ma di tutta l’economia italiana.
Ricordiamo, infatti, che il gruppo Ferrero era fortemente stato coinvolto nell’operazione in corso della contro-scalata italiana a Parmalat, per evitare che cadesse nelle mani francesi di Lactalis, ora proprietaria al 29% del gruppo lattiero italiano, sebbene di recente la stessa Ferrero aveva fatto intendere di non essere granchè interessata all’acquisto della società di Collecchio.
Cordoglio è stato espresso dal mondo politico, istituzionale e dell’industria italiana. Con Pietro, infatti, scompare senza avviso un silente ed energico protagonista della storia del capitalismo italiano, prima, e internazionale, poi.