Palamara a Berlusconi: “Fuori i nomi”

“Abbiamo siglato il patto”: con questa battuta esordisce, nell’intervista rivoltagli in Piazza del Parlamento, Luca Palamara, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, reduce dall’incontro con Gianfranco Fini tenutosi questa mattina per discutere della riforma costituzionale della giustizia. Il riferimento scherzoso risponde alle accuse mosse ieri dal presidente del Consiglio Berlusconi nei confronti delle toghe e del Presidente della Camera, complici in un complotto ipotizzato dal premier e ordito ai danni dello stesso. In realtà Palamara non sorride ed esorta: “Fuori i nomi. Se si hanno le prove, si tirano fuori i nomi e i documenti, altrimenti ci troviamo di fronte ad affermazioni calunniose”. Non sorride e mostra tutta la preoccupazione già espressa  anche alle altre due più alte cariche dello Stato, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il presidente del Senato Renato Schifani, con i quali si è incontrato nei giorni scorsi. Parla di “fibrillazione delle istituzioni”, di “un problema che riguarda i cittadini e il paese” e chiede “una sensibilizzazione delle istituzioni su questi temi” che non interessano solo Berlusconi e i magistrati, ma tutte le istituzioni, compreso il ministro della Giustizia. “L’unico patto che facciamo – aggiunge – è con la legge, applicandola imparzialmente nei confronti di tutti i cittadini e chiedendo riforme non punitive, ma che facciano funzionare meglio la macchina della giustizia” tra le quali annovera adeguate risorse, informatizzazione dei processi, taglio dei tribunali e delle cause inutili, alcune delle misure che ritiene fondamentali per la realizzazione di processi più rapidi.

Ribadisce i “no” sia alla responsabilità civile dei magistrati sia alla prescrizione breve, ma soprattutto al tentativo di trascinare la magistratura nello scontro politico, rischio altissimo in vista di elezioni amministrative. Altra fonte di preoccupazione, inoltre, le vicende giudiziarie di Berlusconi, a causa delle quali si potrebbero produrre atti disomogenei all’interno di una volontà riformatrice volta a superare “situazioni contingenti”.

 

 

 

 

 

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