Sono passati neanche tre mesi da quando i tumulti in Nordafrica, iniziati in Tunisia, per chiedere la cacciata del dittatore ben Alì, al potere dal 1987, hanno stravolto il volto di tutto il Maghreb, con conseguenze ancora tutte da valutare, soprattutto sul fronte della politica estera nordafricana. Solo due mesi fa, cadeva un altro grande personaggio, che lo si voglia o meno, della storia contemporanea mediorientale, il raìs Hosni Mubarak, al potere in Egitto dal 1981, quando era succeduto al Presidente Sadat – di cui fu vice -ucciso in un attentato. Pochi giorni dopo è toccato al colonnello libico, Muhammar Gheddafi, fare i conti con le proteste di piazza, dove migliaia di persone hanno sfilato, per chiedere le dimissioni del raìs, in carica dal 1969, anno della famosa “rivoluzione verde” di Tripoli.
E tumulti sono esplosi in tutto il Medioriente: dalla Giordania, alla Siria, dallo Yemen, allo stesso Iran, che pure all’inizio aveva cavalcato le proteste, in funzione antioccidentale. E mentre disordini sono ancora in corso in tutti questi stati, ad eccezione dell’Iran, dove la protesta della cosiddetta “Onda verde” sembra essere rientrata, in Libia si combatte con le armi, dopo le insurrezioni dei ribelli al regime di Gheddafi, esplose in tutto il Paese, conquistando soprattutto la Cirenaica, la parte orientale dello stato libico.
La Francia di Sarkozy, avendo perso l’alleato tunisino, ha subito cavalcato l’onda emotiva contro il colonnello di Tripoli, soprattutto dopo che questi ha inviato raid aerei contro i manifestanti nelle piazze, proponendo un intervento militare, che ha addirittura iniziato in anticipo sui tempi previsti e a sorpresa.
E’ passato un mese esatto da quando è iniziato l’intervento contro il regime di Gheddafi, fortemente voluto da Francia e, in parte, dalla Gran Bretagna, e sostenuto con scarsa convinzione dagli USA e dall’Italia. A 30 giorni dall’inizio della missione in Libia, però, Gheddafi sembrerebbe in sella più di prima, con la riconquista di città prima perse e che erano passate sotto il controllo dei ribelli, e con conseguenze, in termini di immigrazione clandestina di massa, che hanno fornito parecchi argomenti a una parte crescente dell’opinione pubblica europea, di dubitare della giustezza di tale intervento. E tutto ciò, mentre si analizzano ancora le ripercussioni che la cacciata di Mubarak avrà sulla politica del Medioriente, mancando un interlocutore affidabile e moderato, che funga da mediatore tra Occidente e mondo arabo.
L’Europa stava meglio tre mesi fa!