L’ipotesi di mettere mano al cosiddetto “redditometro”, un espediente di analisi fiscale, ai suoi tempi introdotto dal primo governo Amato, nel 1992, non è proprio andata giù al mondo delle imprese, che hanno voluto fare sentire la loro voce.
Il redditometro è un modello fiscale, che consiste nel verificare se il livello di vita di un contribuente sia in linea con quanto questo abbia dichiarato al fisco. In sostanza, il fisco andrebbe a scovare i consumi del contribuenti, eventuali grossi acquisti, immobili, vacanze, auto, etc. Se il suo stile di vita viene considerato non in linea con il reddito dichiarato, sarà il contribuente a dovere dimostrare la fedeltà fiscale, cosa assai difficile, e la conseguenza, in caso di esito negativo, sarà l’invio della cartella esattoriale, per la riscossione di quanto presumibilmente sottratto al fisco, più gli interessi di mora.
Dopo la pubblicazione degli ultimi dati, in base ai quali il 17% del reddito verrebbe sottratto al fisco, con punte del 38% tra i redditi degli autonomi, il ministero delle finanze avrebbe in mente di reintrodurre il redditometro per il sistema delle imprese. Ma il segretario generale della Confederazione Nazionale dell’Artigianato, Sergio Silvestrini, si è detto contrario all’ipotesi, in quanto scatenerebbe, a suo avviso, un clima da caccia alle streghe, con le imprese sul banco degli imputati. E questo, continua Silvestrini, nonostante la pressione fiscale sulle imprese sia del 68,6% complessivo.
Silvestrini riconosce che l’evasione fiscale toglie ossigeno all’economia, ma si dice maggiormente disponibile a puntare sugli studi di settore, ritenendo impensabile che un’impresa dovrebbe sottoporsi al redditometro, dopo essersi adeguata agli studi di settore.