E’ rimasto al 4,9& il tasso di inflazione in Cina, per il mese di febbraio; lo stesso livello del mese precedente. Tuttavia, l’indice dei prezzi alla produzione, che segna un +7,2%, segnala una tendenza al rialzo dei prezzi, che potrebbe determinare un ulteriore pressione inflazionistica nei prossimi mesi, rendendo necessaria una stretta più rigida della politica monetaria.
A febbraio, infatti, le attese degli economisti erano per un tasso al 4,7% e ciò nonostante da Goldman Sachs fanno notare come le dinamiche dei prezzi al consumo e alla produzione abbiano subito una moderazione, rispetto al trend dell’ultimo trimestre del 2010.
Ad ogni modo, cresce anche la produzione manifatturiera del 14,1% nel primo bimestre, oltre le attese, così come le vendite al dettaglio salgono del 15,8%, malgrado le previsioni qui fossero più ottimistiche.
Insomma, i prezzi pare che siano sospinti in buona parte dalla crescita impetuosa del nuovo colosso asiatico. Ma il governo sta tentando di attuare una politica di diversificazione dei canali di importazione, specie di beni alimentari, al fine di contenere le spinte al rialzo dei prezzi. E quest’anno, Pechino prevede un aumento dell’import, il che allevierebbe la spinta inflazionistica, determinata da una liquidità in eccesso, a sua volta causata dall’enorme avanzo commerciale del Paese, che nel 2010 era di 183 miliardi di euro, contro i 196 miliardi del 2009 e i 295 miliardi del 2008 (annata record).
Altro punto fondamentale della politica economica di Pechino è la stabilità dei conti, che per quest’anno prevede un deficit non oltre il 2% del pil, in calo dal 2,5% del 2010. E con queste cifre, tenendo in considerazione l’alta crescita nominale del pil cinese, il rapporto debito/pil della Cina è destinato a diminuire di forte entità.