Ennesimo grido di allarme della Fao, l’organizzazione mondiale che si occupa dell’alimentazione nel mondo, con sede a Roma. E non è un allarme retorico quello di Roma, bensì una presa d’atto che la situazione dei prezzi del cibo è esplosa e sembra fuori controllo, con gravissime ripercussioni per la tenuta economica di molti stati, e per la loro pace sociale interna.
A febbraio, il Food Price Index, che sintetizza l’andamento dei prezzi di 55 beni alimentari di riferimento nel mondo, è salito a quota 236, un livello più alto di quello del 2008 pre-crisi, quando si parlò insistentemente di crisi alimentare e di speculazione sui mercati internazionali, e il livello più alto dal 1990, anno di inizio delle rilevazioni Fao sui prezzi del cibo.
La situazione è aggravata in prospettiva dall’aumento del prezzo del petrolio, che avendo toccato i 100 dollari al barile, rende più costosa la produzione agricola. Il carburante serve, infatti, oltre che al trasporto di derrate alimentari, anche ai trattori; insomma, una spirale perversa, che rischia di fare esplodere ancor di più il problema dei prezzi.
Al momento, si salverebbe dal rialzo eccessivo dei prezzi solo il riso, ed è una fortuna, dato che oltre la metà della popolazione mondiale lo utilizza come alimentazione di base.
C’è poi un altro dato controverso, i biocarburanti. L’aumento del prezzo del greggio rende più conveniente la produzione di un maggiore quantitativo di bio-carburanti, ma al contempo ciò comporta la lievitazione del prezzo del mais, in quanto si ricava dalla relativa coltivazione.
Insomma, pare che l’aumento delle quotazioni del greggio faccia danni in qualsiasi direzione.